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viernes, 23 de noviembre de 2012

BÁRTOLO CATTAFI [8650]





BÁRTOLO CATTAFI, (Italia), nació en Barcellona, Mesina, en 1922; murió en Milán en 1979. Poeta, pintor y periodista. Se graduó en Jurisprudencia, pero nunca ejerció esa carrera. Pasó una gran parte de su juventud viajando por varios países de Europa, África y América, como corresponsal periodístico. Su obra poética es una especie de memorias de un viajero contemporáneo condenado a encontrar en todas partes el amargo sabor del tedio, característico del mundo actual. La mayor parte de la crítica ha visto en sus versos un elegante juego intelectual que, sin embargo, desemboca en una tensión amarga, de naturaleza metafísica, que tiende hacia la inalcanzable esencialidad de la existencia.

Obra poética

Nel centro della mano, La Meridiana, Milán, 1951; Partenza da Greenwich, La Meridiana, Milán, 1954; Le mosche del meriggio, Mondadori, Milán, 1959; Qualcosa di preciso, All'insegna del pesce d'oro, Milán, 1961; L'osso, l'anima, Mondadori, Milán, 1964; L'aria secca del fuoco, Mondadori, Milán, 1972; La discesa al trono, Mondadori, Milán, 1975; Marzo e le sue idi, Mondadori, Milán, 1977; L'allodola ottobrina, Mondadori, Milán, 1979; Chiromanzia d'inverno, Mondadori, Milán, 1985; En guaridas profundas, antología, sel. y trad. de Guillermo Fernández, UNAM, 1995. LC




Entrada

No hablo de la luna en el pozo.
Hablo de un color cacao
levemente rosado
pero no hablo de rosas ni de cacao.
Hablo de tiernos tejidos
animales de la entrada
al misterio a la dulce oscuridad
de las bellas mucosas
triple y trépida abertura
venus de piel
oscura de vellón muy negro.



Paisanos

Llegaban de los ghettos
de Brooklyn y del Bronx
de Sing-Sing Alcatraz San Quintín
de las regurgitaciones subterráneas
con pelos y bigotes
chorreantes de aguas de albañal
con ojos ebrios de sol
y patitas furibundas
como si aún estuvieran
al borde de las cloacas.



Árbol genealógico

Si a la sombra de los eucaliptos
se acoplan los bandidos con las putas
nacen los australianos
que de bueno sólo tienen
el sombrero de ala levantada.



Toponimia

El alcalde y el clero
como si San Sebastián
con las manos atadas a la espalda
fuera un cero a la izquierda
fue echado de la plaza
para poner al mísero Delano.
El cerdo paralítico
que iba sobre ruedas
empollando bombas atómicas.



Frío, miedo

Bajo frazadas
montones de cojines
en la cabeza y lo demás
tengo frío
miedo
por dentro le rasco
el ombligo a mi madre
y ella me entiende
sabe a lo que le tiro
quiero decirle Ten cuidado
conmigo
no abras las cortinas
no me dejes salir.



Marzo y sus idus

De todo desconfío
del puñal de bruto
de la carne tierna de césar
del destino mismo
Que pase pronto el tiempo
y lleguen al fin marzo y sus idus.







Al día siguiente

El otoño tiene mares tiernos, colores
que hienden lentas naves; caerán
hojas y cielos suspendidos por un hilo.
Caminar hasta el árbol, sentarse,
entrar en confidencia con el inicio
de profundos brezos más ávidos y vivos.  
Tenemos cerca las cosas frías y pobres,
Botellas, cáscaras, fragmentos de memoria,
y más allá, el mar.
“El último domingo” y nos encuentras,
aún anhelantes,  el corazón
un poco cansado por la fiesta,
el rebaño que no huye más, presas
teñidas por el hierro hirsuto del mundo
del vino, de los fuegos solitarios.
Nos venció
este vestigio de humo sobre la tierra; 
siempre fue oblicua la sombra
que en silencio nos siguió.

"Il giorno dopo", publicado en Le mosche del meriggio, Mondadori, Milán, 1959.

Traducción: Hiram Barrios





Da Le mosche del meriggio (1958)

Da Nyhavn

Non ho molto da dirti, alle ventuno
il mondo comincia a farsi bello
come il globo che pende sulla porta.
Si può bere, ballare,
parlare di cose scollacciate
baciare le statue colorite,
dentro vi bollo bene, nel bordello
di musiche e di mescite. Nessuno
sa che contrabbando compio
col petto tatuato, che tesoro
brucia nella grotta
e che grigia
cartuccia, che miccia nelle mani.
Mi scordo della prora,
domani farò la rotta esatta,
ora ho l’esempio, il budello,
la fame dritta e secca dei gabbiani.




Da L’osso, l’anima (1964)

Soprattutto

Pregustava la mente di svernare
nei nostri luoghi diletti.
Il dispaccio ci colse alla sprovvista:
le più care, le più ricche province
(abitanti fedeli, clima mite,
bella vista sul mare)
d’un sol colpo perdute,
divelto e deriso
il nostro nome.
Un amore più forte, un uragano
aveva spinto i confini sullo sfondo.
Riprendere le fila, ragionare. 
Soprattutto
guardare dall’angolo più scomodo.
La vista è opaca. Piove,
distanza, aria perturbata.
Difficile chiarezza è l’umiltà.




Un 30 agosto

Si vide subito che si metteva bene:
eventi macroscopici nessuno,
il sole ad un passo da settembre
diede la prima razione
alle isole di fronte,
il mare mandò lampi di freschezza,
il caldo soltanto fra tre ore,
un immenso celeste, ancora un giorno
per l’uva e gli altri frutti di stagione,
tra i pochi rumori di paese
l’ossigeno sibilando disse
di non farcela più con quel suo cuore.
Di primo mattino la morte di mia madre.




Come vanno le cose

Ti spiattello in faccia
come vanno le cose:
vanno male.
Benché abbia perso lo spirito e la lettera
della fede in quella
sfera che tu conosci,
sono ancora inquieto. 
Non mi tornano i conti, le misure, il modo
che il mondo ha di girare.
Ti faccio l’esempio dei consunti
oggetti: i caldi i cogniti
compagni delle nostre stanze
con qualcuno congiurano a mio danno,
mutano volto,
stranieri appena giunti a questa soglia,
allusivi e furbi,
ammiccanti con strane
luci negli occhi,
missive minacciose nelle mani.
E la foglia caduta
Che un giorno colsi col piede e feci mia
S’è staccata,
mi svolazza intorno mi rinfaccia
un corpo pesante
il passo del mio piede.




Da L’aria secca del fuoco (1971)

Gesto

Non è vero che non successe nulla
quando tirasti fuori la mano dalla tasca
e a braccio teso tagliasti l’aria
da sinistra a destra
dall’alto verso il basso
successe che a braccio teso
tagliasti l’aria
e ciò ebbe il suoi peso
l’aria non è più come prima
è tagliata.




Il resto manca

Mancavano pagine
il marmo dell’epigrafe
era scheggiato
due sole parole
cetera desunt
il resto mancante
mancanti la testa e i piedi
e tutto il resto mancante
che testa e piedi divide
cetera desunt…. cetera desunt…
parole sul frontone d’un tempio vuoto
vorticanti col vento come per dirci
solo noi ci siamo
tutto il resto manca
era questo che non sapevate.




Da Chiromanzia d’inverno (1983, postuma)

L’estinzione

In questo momento la vespa
è il nemico
uccidila
e non badare alla fine d’una specie
di strisce gialle e nere
d’ali membranose
d’ago velenoso
tutt’al più vuol dire che domani deserta
la buccia crespa delle mele mézze moriremo
dopo
meravigliosamente dopo la fine delle vespe.




Nebbia a Cimbro

Scende densa la nebbia
su cimbro frazione
di vergiate provincia
di varese via
aprile venticinque al numero
diciotto la nebbia nidifica in lunghezza
profondità larghezza
VARESE CIMBRO VERGIATE
assieme assegna APRILE
coi numeri DICIOTTO VENTICINQUE
sono però così disincarnato
da svincolarmi
pago d’un paio di cose
confuse larvali innominate.




Da Segni (1986, postuma)

Mosca

La mosca ronza
sulla parola mosca
la stuzzica per farla
volare dalla carta
la mosca ignora
che quell’altra mosca
– bisillabo inchiostro sulla carta – 
non è più sua compagna
ma nostra.








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